editoriale
La recente scomparsa del Maestro Giovanni Maria Pasella, avvenuta solo poche ore fa, ci lascia orfani non solo di un fine musicista e studioso, ma anche di un uomo capace di coniugare cultura e umanità in ogni sua espressione. A pochi ore dalla sua scomparsa, rileggere la sua ultima riflessione sul Natale, pubblicata lo scorso 24 Dicembre sul suo profilo Facebook, assume un significato intenso e profondamente toccante. Non si tratta di un semplice messaggio di auguri, ma di un invito sincero a prenderci cura gli uni degli altri, a riflettere sulle disuguaglianze e a mettere in pratica, con piccoli o grandi gesti, la solidarietà. Quasi un testamento spirituale.
Riportiamo di seguito il suo scritto integrale, come testimonianza di un pensiero alto e generoso, che ci lascia in eredità una traccia profonda di umanità:
“Un sereno Natale e un nuovo anno di prosperità a tutti gli amici cari, ai colleghi a tutti i parenti e soprattutto a tutti quelli che probabilmente troveranno un po’ difficile essere in pace con la vita e con il proprio destino. A tutti quelli che forse da soli, non hanno più la forza e anche il minimo ottimismo per rialzarsi dalle sconfitte di ogni genere, dai lutti, dalle delusioni, dall’estrema e ingiusta povertà e dalle malattie, dalla violenza spietata e dalle guerre brutali e sanguinarie.
Proprio perché può sembrare solo retorica e ipocrisia dire semplicemente “buone feste”, in questi giorni dell’anno in cui i conviviali e i regali, i colori, le luci e il ritrovare persone lontane ci caricano di entusiasmi e umanità più accentuate del solito, proviamo a trasformare i nostri auguri in personale impegno, anche minimo, ad offrire un po’ di compagnia a chi è solo e a chi necessita di qualche beneficio.
Ma soprattutto, auguriamo con tutto il cuore a chi è benestante veramente, non conta più il denaro e gode di ogni comodità, di rendersi utile in modo concreto per riempire quei vuoti che la società sta continuando a trascurare; a convincerli che il loro largo benessere meritato o meno, non svanirà, ma anzi diverrà ancora più reale e più fruttuoso con la condivisione. E i veri bisogni, quelli più tangibili sono quelli del nostro quotidiano, le ingiustizie delle leggi, i costi sempre più esorbitanti delle prime necessità, della mancanza di lavoro, del non riconoscimento dei meriti, di una sanità che si allontana sempre di più dalle nostre necessità nonostante i macro progressi della scienza ci incoraggiano solo sui “media”!
Quel presepe che nessuno ci deve togliere, che abbiamo conosciuto dall’infanzia e che nei secoli, unito ai messaggi Evangelici che hanno dato senso alla nostra storia e all’essenza di tutta l’umanità, nonostante tutto ci deve suggerisce ogni momento proprio questa forma di “auguri” e del “donare”.
Con il convincimento che anche ogni sorta di violenza e di crimine, prima che con le politiche si possa iniziare a risolvere con il rispetto delle persone e delle cose, nella vita di ogni giorno, rivolgo veramente a tutti quelli che mi leggono, un Natale non solo semplicemente felice, ma che porti anche un po’ di appagamento al nostro animo e a quello di chi ne ha bisogno.”
In queste parole si ritrova tutto il senso di un Natale autentico, svincolato dai formalismi e dalle convenzioni. Il Maestro Pasella invita a guardare oltre le luminarie e le tavole imbandite, puntando lo sguardo verso coloro che vivono un momento di difficoltà, di solitudine o di sconforto. E, soprattutto, ci ricorda come chi possiede i mezzi — materiali, culturali o spirituali — abbia la responsabilità di metterli al servizio della comunità, per colmare le lacune e attenuare le ingiustizie.
Oggi, più che mai, queste parole risuonano come un’eredità preziosa, un lascito che chiama ognuno di noi all’azione. Fare del bene a chi ne ha bisogno, dimostrarsi generosi con gesti anche piccoli ma concreti, coltivare l’ascolto e l’empatia: sono tutte azioni che possono e devono trovare spazio non soltanto a Natale, ma in ogni giorno dell’anno.
Una riflessione che ci invita a trasformare gli auguri in impegno, la solidarietà in un gesto tangibile e duraturo. È questo, forse, il modo migliore per onorarne la memoria.
Editoriale, a cura di Fabrizio Carta