Con un comunicato stampa la Diocesi di Tempio – Ampurias ha reso noto questa mattina che il Vescovo S.E. Rev. Mons. Roberto FORNACIARI ha provveduto a nuove nomine. Si allega il Comunicato e, a seguire, il Video della diretta di Teleregione Live di ieri con i contenuti dello stesso spiegati dal Vescovo. Di seguito anche il testo dell’omelia.
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TESTO OMELIA
Caro fratello nell’episcopato, cari presbiteri, cari diaconi, cari religiosi e religiose, e voi tutti fedeli che insieme a noi formate il popolo santo di Dio.
È la prima volta che mi trovo a celebrare con voi, fratelli e sorelle carissimi, questa Messa del Crisma e lo faccio con commozione e con gioia. Mi vengono dal cuore le parole del Salmo: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato… è come rugiada dell’Hermon» (Sal 133, 1-3). È il momento più bello e significativo della vita della Chiesa diocesana, quello in cui sentiamo nel modo più vivo il legame di comunione che ci unisce tutti e, in modo particolare, fa del presbiterio un unico segno e strumento di Gesù pastore della Chiesa. Sento vicini a noi tutti i preti che non possono essere presenti per un qualche motivo: i malati, gli anziani, quelli assenti per motivi di salute… tutti; e vorrei che tutti ci sentissero vicini a loro, legati dall’affetto che nasce dalla condivisione della medesima fede e dal compimento della medesima missione.
Abbiamo ascoltato tre letture: dal libro del profeta Isaia, dal libro dell’Apocalisse di Giovanni e dal Vangelo di Luca. Guardando questi testi, ho avuto l’impressione che fossero come cerchi concentrici attorno a un centro, Gesù stesso. Ruotano attorno al mistero di Gesù. Mistero questo, che ci viene ancora una volta particolarmente suggerito come centro della nostra fede, come espressione della misericordia del Padre che ci ha donato il Figlio. Vorrei fare luce con voi su questo mistero, partendo dal capitolo 61 del libro di Isaia, che rimanda chiaramente a Gesù, perché Gesù lo applicherà a se stesso. In Gesù si realizza questo passo del Terzo-Isaia, come se il profeta avesse avuto un presentimento da lontano.
La prima cosa che ci dice il profeta è una prospettiva del tutto universale. Vedremo poi nell’Apocalisse che questa prospettiva universale e mondiale si concretizza sul popolo di Dio, il popolo sacerdotale di Dio, e poi diventa personalissima nel vangelo, nel rapporto personale con Gesù. Gesù è il Signore dell’universo. Così ci viene presentato, come Colui che rende giustizia a tutti i popoli della terra, che instaura la giustizia sulla terra perché è mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a consolare tutti gli afflitti, a risollevare i cuori con l’olio della letizia. Di fronte all’attuale situazione mondiale, questa parola di Isaia diventa ancora più drammatica: Chi è in grado di portare un lieto annunzio? Chi è in grado di fasciare le piaghe dei cuori? Di proclamare la liberazione? Dov’è la luce delle nazioni? Chi porta giustizia sulla terra?
Possiamo dire in modo molto semplice e chiaro che Cristo è colui che porta nel mondo la giustizia e la pace? Sì, lo possiamo confessare. Possiamo sostenere questo e possiamo anche raccontarlo ad altri. È Lui che crea davvero la giustizia tra le persone, tra i popoli. Egli infatti non è soltanto il Messia, il Redentore, che ci ha indicato la via di Dio, ma in Lui sono stati creati il cielo e la terra. Dio, che ha creato e disteso i cieli, che ha fatto la terra e che dà respiro e vita a tutto ciò che vive sulla terra e a noi uomini lo spirito. Quindi la prima prospettiva è quella del Creatore. Il Creatore che ha creato questo mondo e al quale dobbiamo la vita, che ci ha anche dato come ordinare le cose. Dove questo ordine viene trascurato, nascono guerre, ingiustizie, persecuzioni e sofferenze terribili. Allora la prima cosa che ci viene detta di Cristo oggi è: Lui vuole davvero portarci la pace, vuole riunire noi, e i popoli. Quando mi guardo intorno qui nel nostro presbiterio, vedo quanti popoli sono rappresentati già nel nostro piccolo. E Cristo è il nostro centro, Cristo ci unisce nell’unica fede per formare l’unica comunità. Siamo convinti e confidiamo che solo in Cristo i popoli possono trovare veramente comprensione e pace tra loro.
Ma ecco la seconda prospettiva che incontriamo nella lettura dell’Apocalisse. Per permettere che questa pace e questa giustizia crescano in questo mondo, Dio ha scelto un popolo, ha formato per sé un popolo. Si dice allora che questo popolo sia composto di “re e sacerdoti davanti a Dio”. Questo, lo sappiamo, non significa solo i preti, ma indica l’intero popolo sacerdotale di Dio. Ciò significa che anche i cristiani hanno una chiamata molto speciale in questo mondo. E voi, futuri cresimati, dovete essere pronti a intraprendere questo cammino di vita da cristiani in questo mondo, che non è scontato. Divenire un popolo di re e di sacerdoti!
Che cosa significa? Ciò non significa che abbiamo il successo garantito ovunque, non significa che abbiamo il controllo ovunque. Anzi! Nessuna religione è attualmente perseguitata tanto quanto i cristiani in tutto il mondo. Ma Cristo stesso non ha fondato il suo regno con le armi e la potenza militare, ma a partire dalla croce. La croce è il simbolo di questo Re. Sarete segnati con questa croce quando io vi amministrerò il sacramento della Cresima. Allora sarete segnati con la croce sulla fronte per dire: sono pronto ad annunciare Cristo e a confessare la mia fede.
Ma solo nella terza dimensione, nel cerchio più interno, tutto ha senso. Perché quando diciamo: Cristo è il Signore del mondo, Cristo è il capo della Chiesa, allora si tratta soprattutto del nostro rapporto molto personale con Cristo. Oggi il vangelo è questo: “Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto messaggio”, annuncia Gesù nella sinagoga di Nazaret leggendo il rotolo del profeta Isaia. Chi sono i poveri se non i medicanti di vita? quelli che hanno un desiderio prepotente di vita, ma non hanno i mezzi per soddisfare questo loro desiderio? E non è forse proprio questa la condizione di ogni uomo sulla terra? Siamo desiderosi di vivere, certo; ma possediamo solo un’esistenza effimera: basta un virus, una distrazione, un incidente per troncare ogni speranza mondana. Siamo desiderosi di amare; ma anche scettici, insicuri, ripiegati su di noi e incapaci di rischiare il primo gesto dell’amore donato.
Noi diciamo al mondo l’amore di Dio, annunciamo la speranza della resurrezione, edifichiamo comunità dove l’amore diventi la regola fondamentale del rapporto con gli altri. E non facciamo questo con un’operazione ideologica, presentando una filosofia astratta. Lo facciamo narrando un fatto concreto, un’esistenza concreta che si colloca in un tempo e in uno spazio preciso della storia umana. È Gesù il fondamento sul quale è costruito tutto l’edificio dell’esistenza cristiana: la sua vita, le sue parole, la sua morte e la sua resurrezione. Rimane vera l’affermazione di Paolo: “Se Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”. Perché se Cristo non è risorto, il vangelo che annunciamo rimane una semplice idea; nobile e bella, certo; ma solo un’idea. Se invece Cristo è davvero risorto, se Dio ha manifestato in lui l’efficacia della sua forza, se la morte non ha più nessun potere sopra di lui, allora la morte non può più fare troppa paura: sarà ancora capace di turbare la nostra fragile psiche, ma non riuscirà a condizionare la nostra libertà redenta, non riuscirà a costringerci dentro il cerchio mortale dell’egoismo.
La vita del prete nasce in questa libertà che ci è donata dalla resurrezione di Gesù. Amiamo Gesù perché vediamo in lui l’uomo che siamo chiamati a diventare; amiamo l’uomo perché riconosciamo in lui il volto di Gesù. Stiamo vicino ai malati, visitiamo le case dove si piangono i morti, spendiamo tempo ed energie per educare gli adolescenti, pur sapendo che gran parte di loro si dimenticherà di noi e del vangelo, tiriamo avanti con un salario minimo mentre la gente ci pensa ricchi e potenti. Chi ce lo fa fare? Gesù Cristo e il vangelo; l’amore per l’uomo in tutte le manifestazioni della sua vita, nella sua nobiltà e nel suo peccato. Nessuno è più convinto di noi che nell’uomo ci sono più cose da ammirare che da disprezzare e perché questo uomo possa vivere spendiamo noi stessi. Ci basta ricordare quello che è scritto nel cap. 25° di Matteo: “Quello che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”. Ci basta questo per vedere nel volto di ogni uomo i lineamenti di Gesù. Possiamo essere più facilmente ingannati e truffati, proprio perché non riusciamo a essere diffidenti del tutto nemmeno di fronte a un estraneo. Eppure «insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi» (1Cor 4, 12-13). Mi piace riprendere questa straordinaria descrizione dell’apostolo che ci è consegnata da san Paolo; non perché io possa presumere di essere così. Debbo, al contrario, riconoscere di ricevere dalla gente molto più onore e rispetto di quanto so di meritarmi. E tuttavia le parole di Paolo mi consolano; mi aiutano a capire che tutte le debolezze, le fragilità, le incomprensioni che posso sperimentare nella mia vita non rendono vano il mio ministero; al contrario, rendono ancora più evidente la sua origine da Cristo. «Abbiamo infatti un tesoro prezioso in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cor 4, 7).
Grazie anche a voi fratelli diaconi, chiamati a presentare a tutta la Chiesa il volto di Cristo servo, voi permettete al vescovo di manifestare l’attenzione agli ultimi, nelle diverse situazioni sociali presenti nella nostra Chiesa locale.
Siano rese grazie a Dio per tutti i doni e tutta la gioia che scaturirà dalla vita ecclesiale che possiamo vedere sintetizzata nei sacramenti che l’accompagnano nelle sue varie fasi e che possono essere rappresentati dagli olii che fra poco andremo a benedire.