Ha del tenero e commovente la storia di Canuto, delfino dalla pinna bianca.
L’ha raccontata il biologo marino Andrea Rotta al recente convegno svoltosi a Santa Teresa Gallura in occasione della Giornata mondiale delle balene e dei cetacei.
Piuttosto conosciuto nel porto di Cala Gavetta e di Bassa Marina, a La Maddalena, delfino Canuto era familiare con i marittimi e suscitava la curiosità dei passeggeri dei traghetti mentre scorrazzava nel braccio di mare che separa Maddalena da Palau. Succedeva poi che sparisse per periodi più o meno lunghi di tempo. Della sua presenza ne subivano però le conseguenze, le reti da pesca sventrate. Per questo motivo i pescatori isolani lo amavano assai meno di coloro che lo guardavano “spensierato” mentre nuotava e quando sembrava gradisse non poco che lo fotografassero e filmassero. “Canuto veniva avvistato almeno tre volte l’anno e viveva in un gruppo di tipo misto di 22 delfini, composto da madri con piccoli e da altri maschi, un gruppo cosiddetto ‘metropolitano’, che vive cioè a stretto contatto con le attività umane”. Lui era uno specialista della pesca sulle reti, ha informato il dr. Rotta, si alimentava quasi sempre dalle reti. Era praticamente il nemico numero uno della piccola pesca costiera il cui principale strumento di lavoro è il tremaglio. Canuto era uno specialista nel cibarsi di pesce imbrigliato. In effetti, non tutti i delfini e non sempre, hanno questi ‘comportamenti’ alimentari. Normalmente il pesce, per sfamarsi, i delfini se lo catturano da soli, senza ‘rubarlo’ e senza danneggiare nessuno.
Delfino Canuto fu trovato morto dal Corpo di Vigilanza Forestale di Palau. Portato presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Sassari fu riconosciuto proprio dalla pinna. Dall’autopsia – ha proseguito il dr. Rotta – è fu accertata la causa della morte, già nota al momento del ritrovamento: era stata una rete da pesca! Un tragico destino per chi, di rete da pesca è vissuto e di rete da pesca … è perito! Venne confermato che fosse di sesso maschile, lungo più di tre metri. Si ebbe modo inoltre di definirgli l’età: tra i 22 e i 24 anni (i delfini possono vivere fino a 40 anni). Dall’usura dei denti venne confermato che era un cacciatore di reti. Ci ponemmo una domanda, ha affermato il biologo Rotta: per quale motivo un animale di così grandi dimensioni, con una lunga esperienza alle spalle, era finito a morire in una rete? Impigliatosi e morto d’asfissia? I veterinari constatarono che era perfettamente alimentato. Osservando però i polmoni si scoprì che li aveva danneggiati: soffriva infatti di una broncopolmonite cronica. Questo – ha spiegato il biologo maddalenino – ha avuto come conseguenza il suo non poter fare immersioni di lunga durata. Per cui o l’animale andava a mangiare nella rete oppure moriva di fame o quantomeno l’avrebbe patita! La sua alimentazione era stata dunque forzata dalla malattia. Se non fosse andato a mangiare nelle reti non avrebbe avuto la possibilità di sopravvivenza per un periodo così lungo!
Lo scheletro di Canuto è ora conservato ed esposto, con una scheda che ne racconta la storia, nell’Aula della Balena, presso il Dipartimento di Veterinaria dell’Università degli Studi di Sassari.