Incontrammo Paolo Modolo nella sua leggendaria sartoria al centro di Orani nell’estate del 2021: su “mastru ‘e pannu” raccontò i sogni e i sacrifici di una vita che hanno segnato la storia della maison che ha reso famoso nel mondo l’abito del pastore sardo.
La singer era sempre la stessa, iniziò ad usarla nel 1962 quando aprì il suo laboratorio al centro di Orani. Anche le forbici da taglio avevano sessant’anni. Se le fece realizzare da un artigiano del paese ed erano solo sue: off limits per chiunque altro varcasse la soglia della maison del velluto. Paolo Modolo ci accolse all’interno della sartoria che portava il suo nome, “Sartoria Modolo – mastru ‘e pannu”. Rispose alle domande senza mai abbandonare gli arnesi del mestiere: ago, forbici e la sua agenda dove appuntava le misure dei clienti e il modello richiesto a due, tre o cinque punte sulle spalle e la martingala a sottolineare il punto vita. Il regno del velluto si aprì davanti a noi con una cascata di tessuti finissimi a comporre abiti unici al mondo che ancora oggi vantano modelli di nota fama. “Cossiga – raccontò Modolo – mi disse di confezionargli il vestito del pastore. Io gli chiesi di che colore lo volesse e lui rispose che non gli interessava, voleva soltanto che fosse proprio quello indossato dai pastori sardi”. Il presidente Francesco Cossiga scelse Modolo come sarto personale e fu con lui che il velluto, finemente tagliato e cucito, entrò al Quirinale. Cossiga lo esibiva con orgoglio e con altrettanta fierezza regalava le giacche di Modolo ai suoi amici più cari. “Eravamo colleghi, lui era il picconatore e io un ex picconatore”, scherzò il Re del velluto ricordando gli anni di lavoro in miniera, quando armato di piccone andava sottoterra per portare uno stipendio a casa. “Andai in pensione a 49 anni – raccontò Modolo – e potei dedicarmi totalmente al laboratorio”.
Pauleddu, così come lo chiamavano gli amici, non conosceva la fatica. “Sono in pensione solo dalla cava. L’unica cosa che mi stanca – confidò – è non lavorare”. Lo sguardo si perse nei mesi segnati dalla pandemia che il sarto trascorse leggendo i libri che ancora oggi trovano spazio sul grande tavolo da lavoro, quasi a fare da cornice alle pile di velluto. Parlava e tagliava. “Queste sono le asole”, disse mostrandoci una striscia di velluto lucido e morbido che aveva inciso con precisione chirurgica e certezza tecnica. Modolo cuciva con la stessa passione di quando per la prima volta prese in mano un ago: aveva appena terminato la quinta elementare e fu suo padre a mandarlo a imparare il mestiere da una sarta di Orani. Poi il matrimonio, l’apertura della prima sartoria, ma i soldi non bastavano perché ogni paese aveva un sarto e c’era poco lavoro. Quindi l’ingresso in miniera dove stette per ventidue lunghi anni. “Finivo alle quattro del pomeriggio – raccontò Modolo – tornavo a casa e iniziavo a cucire”. La clientela all’inizio era esclusivamente maschile, fatta eccezione per qualche donna pastore che aveva bisogno dei pantaloni per lavorare nelle campagne. Poi la fama. Cossiga è stato uno dei tanti personaggi famosi che Modolo ha vestito. Insieme al Presidente, anche Costantino Nivola, il primo in assoluto, Piero Pelù, Salvatore Niffoi, Dori Ghezzi e moltissimi politici sardi: c’è stato un tempo in cui a Cagliari, nel Palazzo, tutti indossavano giacca e pantaloni di velluto firmati “Sartoria Modolo”.
Una firma, la sua, che rappresenta un’esistenza e che il Maestro di Orani non ha mai pensato di vendere sebbene le richieste, giunte da famose case di moda, fossero molteplici ed economicamente accattivanti. “La firma è tutto”, disse guardandoci dritto negli occhi con quello sguardo gentile e fiero che racconta di sacrifici e gratitudine. E’ la consapevolezza di una forma d’arte pura che non può essere ceduta, ma solo tramandata. Dedizione e talento ereditate da suo figlio, Francesco Modolo: “Durante l’estate mio padre mi diceva di raggiungerlo in laboratorio – ricordava nel 2021 Francesco -. Qui ho imparato l’arte del cucito”. Assieme hanno vissuto i meravigliosi anni delle sfilate sotto le stelle che in qualche modo sdoganarono l’abito in velluto per soli uomini e lo resero accessibile anche alle donne. E le richieste furono tante. Dodici anni di passerelle nelle più suggestive location della Sardegna, dell’Italia e in giro per il mondo, dal Giappone alla Tunisia. “Il segreto del successo – svelò Francesco – è lavorare sodo, come si faceva una volta”. Nella sartoria di Orani gli abiti vengono ancora confezionati senza l’ausilio dei cartamodelli, si taglia direttamente sul tessuto e i tessuti sono pregiatissimi e spesso vengono scelti dagli sposi per l’abito da indossare all’altare. Un capolavoro artigianale che anche nel 2021 portò a Orani, nel laboratorio di casa Modolo, uno dei premi più ambiti del settore wedding: l’abito da sposo più bello d’Italia. Soddisfazioni che si sommano ai traguardi raggiunti in tanti anni di lavoro: dal primo abito confezionato per Nivola, ai riconoscimenti internazionali. E qualcosa di molto più intimo, Emma. Studentessa dell’Accademia di moda e design di Firenze, nipote di Paolo Modolo, figlia di Francesco. D’inverno studia in Toscana e d’estate si esercita in una delle scuole più esclusive e autentiche d’Italia: il laboratorio di famiglia.
Stefania Costa