di Sandro Serreri
Cinquant’anni fa, la mattina del 12 agosto 1971, moriva ad Aggius Madre Maria Paola Muzzeddu colei che, il 5 ottobre 1947, con l’approvazione dell’allora Arcivescovo di Sassari Arcangelo Mazzotti, aveva fondato una nuova famiglia religiosa: la “Compagnia di Mater Purissima”, meglio nota come le Celestine. Era la quarta figlia di Giovanni Battista e di Francesca Serra.
Dopo di lei, ne sarebbero nati altri otto. Era nata ad Aggius, il 26 febbraio 1913, un piccolo paese gallurese con le case abbarbicate ad una montagna di
granito, quasi come a volersi proteggere e riscaldare l’un l’altra, a pochi chilometri dalla “nobile” Tempio Pausania. Nacque tra l’ultimo morto ammazzato (1910) della spietata faida tra i Mamia e i Vasa e la celebrazione della pace (1921). Il clima, dunque, fu quello della morte e della preghiera. La sua era una famiglia povera, dove tutti dovevano dare il loro contributo di fatica e di sacrificio, specialmente i figli più grandi. Paola, per carattere, non si sottraeva a nessuno di questi. La sua Gallura era quella della “cultura degli stazzi”, di “li cussogghj”, di una società agro-pastorale dove bastava un po’ di terra e tanto lavoro e sudore per poter riuscire almeno a sopravvivere. Paola crebbe respirando i commenti al bagliore del focolare domestico, la notte, dopo la frugale cena, circa l’odio tra i Mamia e i Vasa, la povertà dignitosa, il duro lavoro a casa e nei campi.
Ma questa vita, che né allora né mai si addice a una bambina, non le impedì di far crescere e maturare quell’interiorità che, anno dopo anno, imparò ad ascoltare e a seguire sino alla scelta difficile, impegnativa e radicale della vita consacrata. Paola è stata, non lo dimentichiamo, ed è questo il motivo fondamentale di questo mio ricordo, figlia della Gallura del suo tempo, recante i caratteristici segni distintivi della donna gallurese: la dolcezza combinata con la forza, la dignità con la laboriosità, la tenerezza con la fermezza, la corresponsabilità nella gestione della vita familiare e domestica. Tutto questo insieme, e quasi sintesi, a una religiosità mai bigotta, forzata, di dovere, ma naturale, semplice, che lei, a partire dagli anni della adolescenza, viveva, testimoniava, comunicava. La sua vita e la sua pratica religiosa furono così contagiose che Paola non poteva non capire, anno dopo anno, che la preghiera personale e familiare, il lavoro domestico, dovevano superare questi ristretti ambiti per abbracciare chiunque aveva bisogno di ascolto, consiglio, conforto, incoraggiamento, soccorso, assistenza, educazione, casa, scuola. Di là dall’agiografia che se né può ampiamente ricavare dalla sua vita e testimonianza, quel che mi preme rilevare, facendo memoria in questo cinquantesimo, è il fatto non trascurabile, allora come oggi, che Paola Muzzeddu è stata una risposta gallurese, in particolare della donna gallurese, ai “segni dei tempi”, a quella società e cultura che se da una parte portava i connotati della solidarietà, negli stazzi come nei paesi, dall’altra portava quelli dell’egoismo, della gelosia,
dell’odio.
Paola Muzzeddu, donna aggese, donna gallurese, con la sua vita e la sua opera, spese per la promozione delle nostre genti, ha fatto emergere quel che di nobile, bello e positivo c’è nella “galluresità” che sa farsi generosità, altruismo, volontariato, solidarietà nonostante i vizi e i peccati che condizionano il nostro carattere. Per questo, ma non solo, è nostro dovere ricordarla, a cinquant’anni dalla morte. In un territorio, il nostro, che sta soffrendo le ripercussioni di una crisi finanziaria ed economica globale, è importante riscoprire che quando si è “poveri” si è anche più generosi, quando si è tormentati dai problemi si è anche più disponibili verso i problemi del nostro prossimo, quando si ha di meno si è più inclini a condividere. Cent’otto anni fa la nostra Gallura, povera e analfabeta, minata da odi e vendette omicide, partoriva Paola Muzzeddu. Oggi che non siamo più poveri, ma abbiamo molto più del necessario, forse siamo chiamati anche alla luce di testimoni come Madre Maria Paola, a superare i piccoli egoismi e interessi di parte e far riemergere i lati positivi del sano orgoglio, della laboriosità e della solidarietà galluresi. Una piccola donna aggese è riuscita a non farsi sconfiggere dalla povertà, dalle rinunce e dai sacrifici. A noi tutti, oggi, spetta la responsabilità di attingere a piene mani anche dal suo esempio ringraziando e impegnandoci a far crescere e a promuovere il nostro territorio e le sue genti.
Sandro Serreri